Un saluto al pubblico OPPP!
Alla luce della fervente ripresa del dibattito sulle questioni di genere, questa settimana proponiamo l’analisi di una coppia di discorsi che riguardano il ruolo e le libertà femminili. Confrontiamo un comizio tenuto nel 1976 dall’Onorevole Emma Bonino del Partito Radicale, e un discorso tenuto in Aula nel 1989 dall’Onorevole Tina Anselmi, Democrazia Cristiana. Il confronto, sia quantitativo che qualitativo, rivela significative differenze tra i due testi.
Il discorso di Bonino presenta una serie di richieste politiche a tutela delle donne (alle quali si rivolge direttamente, esortandole a partecipare attivamente alla vita politica del Paese e quindi ai processi decisionali), e di attacchi agli avversari, e in particolare alla DC. Il discorso, che in proporzione fa maggiore uso di strategie implicite, è caratterizzato da un’alta frequenza di implicature e presupposizioni, come nei seguenti esempi: “Innanzitutto, noi speriamo che dopo il 20 giugno Zaccagnini non abbia più nessun titolo per proporre assolutamente niente, né alle donne, né ai cittadini in generale e a nessuno mai”, dove implica che Zaccagnini sia persona inadeguata addirittura a svolgere qualsivoglia incarico o azione. Riferendosi alla proposta di creazione di un ministero sulla condizione femminile dice: “con un po’ di burocrazia in più, vediamo di risolvere il problema. E così tentano di rimetterci in un altro ghetto, questa volta un ghetto parlamentare”, presupponendo che le donne siano state già messe in un ghetto, e implicando che la DC con la sua proposta mostri di volere isolare i problemi femminili invece che risolverli – e che quindi non abbia a cuore gli interessi delle donne.
Le implicature veicolano spesso attacchi nella forma di frasi ironiche, piuttosto frequenti nei comizi, nei quali i politici cercano di stabilire una certa vicinanza con il loro pubblico: “Sapete, […] che Saragat in un discorso ufficiale (tanto per dirvi l’acume dei nostri dirigenti politici, eh), in un discorso ufficiale dice che lui capisce il problema delle donne, anzi non ci dorme notte e giorno. Noi lo invitiamo magari a bere un po’ meno, a pensare altrettanto meno alle donne”; o ancora: “Forse Saragat, che è sicuramente un esperto di vini, che può fare delle enciclopedie bellissime sulle annate del Barolo, io non credo che abbia niente da dire, ma proprio niente, alle donne”. Parlando nello specifico dell’aborto, dichiara poi: “Prima c’erano i tre medici, il tribunale dell’Inquisizione, poi dice che tre medici son troppi allora uno, il quale, novello Sherlock Holmes della situazione già non sa fare il medico, si inventava addirittura poliziotto e in una settimana controllava dalla portinaia se le condizioni economiche che noi dichiaravamo erano veramente gravi”.
Nel discorso rivolge anche un’accusa a Tina Anselmi stessa, sempre veicolato in forma di implicatura ironica: “Bene, amico Zaccagnini, proprio non ce ne frega niente di avere un altro ghettino, con un ministro donna a capo di questo Ministero della condizione femminile. Non a caso questa proposta, però, è stata subito accolta molto bene da Tina Anselmi, che ha dichiarato ufficialmente che lei prima di essere donna è democristiana. È nata così, eh! Prima di nascere era democristiana, poi si è scoperta donna.”
Il discorso di Tina Anselmi si presenta invece come un’esposizione più generica sulla situazione del welfare, con particolare focus su questioni economiche, e tocca in maniera molto mitigata la questione dell’inserimento delle donne nel mondo del lavoro e delle politiche sociali necessarie a promuoverlo. Difatti, la strategia di implicitazione prevalente qui è quella della vaghezza, tratto caratteristico della retorica politica della prima repubblica, cioè del politichese, che il Grande Dizionario dell’Uso di De Mauro nel 1999 definisce come gergo deliberatamente oscuro, tecnico, per lo più incomprensibile, utilizzato dai politici. Retorica in cui Tina Anselmi si inserisce perfettamente dal punto di vista cronologico.
Vediamo alcuni estratti in cui la politica si avvale di vaghezza, per lo più, secondo noi, per mitigare e non far trapelare l’eventuale affinità ideologica che avrebbe legato il suo discorso a quelli dei suoi avversari di sinistra, che ad esempio chiedevano a gran voce fondi per l’istituzione di scuole della prima infanzia:
“[…] il dovere di pensare alle politiche che guardano al futuro, in modo da consegnare il Paese alle generazioni che verranno in una situazione non compromessa , e una concezione delle riforme che riguardano le condizioni fondamentali dei cittadini che tenga conto della necessità di equilibrare maggiormente le situazioni, più che provocare differenze incolmabili”. Anselmi lascia molto vago di quali riforme e differenze incolmabili ci si debba occupare. O anche: “In secondo luogo, alcuni servizi sociali permettono di agevolare l’ accesso di entrambi i coniugi, e in particolare della donna, al lavoro extradomestico, con conseguente beneficio per il reddito familiare”. Di quali servizi si parla? Resta piuttosto oscuro. Probabilmente in funzione di mettere maggiormente in focus gli aspetti più economici della questione femminile – ovvero il fatto che se la donna lavora conviene a tutti, a tutta la famiglia – piuttosto che l’aspetto legato a un effettivo avanzamento sociale e culturale del ruolo della donna, come rimarcato, tra l’altro, in un commento finale: “Il tutto poi deve necessariamente tenere conto che il 95 per cento degli italiani vive nell’ ambito di una convivenza di tipo familiare, e quindi le misure da proporre devono essere finalizzate alla famiglia, che è, e rimane, l’ unità fondamentale di riferimento, anche dal punto di vista che stiamo trattando”.
Quello della vaghezza è un tratto che non caratterizza affatto il discorso di Bonino, la quale invece, come visto, si esprime in maniera molto diretta sia per quanto riguarda le misure politiche e sociali che richiede, sia per quanto riguarda i personaggi politici che critica, come ad esempio: “Ma dobbiamo andare a chiedere a Fanfani sul serio, ancora, se per favore possiamo usare la pillola?”
Alla luce del dibattito in corso, abbiamo ritenuto interessante notare le differenze tematiche, sia esplicite che implicite, tra i due discorsi: uno in cui si sentono le accuse (talvolta implicite) e le richieste di una donna politica di sinistra alla fine degli anni ’70, uno in cui si sentono quelle (non troppo chiare) di una donna politica di centro-destra nel 1989.