Qualche giorno fa l’associazione Duchenne Parent Project ha lanciato una campagna pubblicitaria che è diventata virale e in poche ore ha suscitato reazioni molto accese. Vediamo perché.
La campagna consiste in una serie di immagini di persone con distrofia di Duchenne e Becker su cui campeggiano gli slogan: “Poteva andarmi peggio. Potevo nascere no-vax”, “Poteva andarmi peggio. Potevo nascere terrapiattista/complottista/negazionista/omofobo/razzista”.
Una parte dell’opinione pubblica ha accolto con entusiasmo la campagna, lodandone la capacità di sdoganare nuovi modi di narrare la disabilità. Alcuni attivisti per i diritti delle persone disabili, invece, l’hanno criticata. In particolare, l’attivista e influencer Marina Cuollo ha scritto su Instagram: “Quella campagna è pessima perché parte dal presupposto che la disabilità sia qualcosa di negativo”. L’osservazione di Cuollo è ineccepibile dai punti di vista teorico e terminologico: dire che qualcosa è “peggio” attiva infatti la presupposizione che il primo termine di paragone sia comunque “male”.
L’attivista Sofia Righetti ha invece messo in luce un altro aspetto della campagna che sfrutta un meccanismo linguistico implicito. Scrive infatti su Instagram: “La disabilità è paragonata a comportamenti e pregiudizi umani che sono scelte, e scelte ignoranti (essere razzista, no-vax, negazionista, omofobo), mentre essere disabili NON è una scelta”.
Elencare una serie di elementi in una struttura sintatticamente omogenea può in effetti attivare il meccanismo della implicatura da lista: i destinatari della comunicazione sono portati a individuare una caratteristica comune agli elementi elencati, che giustifichi l’esistenza della lista. In questo caso, affiancare le persone disabili a razzisti, no-vax, negazionisti e omofobi può avere l’effetto di associare la disabilità a comportamenti deliberatamente negativi.
Dal nostro punto di vista, è molto interessante che l’aspetto controverso di questa campagna pubblicitaria riguardi proprio gli impliciti e la loro capacità di trasmettere contenuti non condivisi o discutibili riducendo l’attenzione critica dei destinatari. Se i contenuti veicolati in modo implicito fossero asseriti esplicitamente, siamo certi che molte più persone avrebbero criticato e contestato la campagna. La codifica implicita ha invece il risultato che il messaggio sia accolto come positivo da una gran parte degli osservatori.
Un’ultima precisazione: non intendiamo certo sostenere che chi ha creato la campagna avesse la deliberata intenzione di comunicare messaggi negativi sulla disabilità. Siamo certi che i professionisti che hanno ideato la campagna – magari non particolarmente formati sui temi della disabilità – avessero le migliori intenzioni e siano stati a loro volta vittime del subdolo potere degli impliciti.