Su suggerimento di una nostra attenta lettrice, oggi esaminiamo un testo pubblicato su Instagram da Matteo Salvini, che riprende un post de Il Giornale con la proposta dell’On. Aboubakar Soumahoro di rendere festivo il giorno di fine Ramadan.
L’immagine, che è stata confezionata dal Giornale e non da Salvini, contiene in evidenza le parole “l’ultima di Soumahoro”, una formula sarcastica che in italiano serve a far implicare che qualcuno ne tira fuori troppe per essere serio. Nel testo che segue, la ripresa riassuntiva della proposta di Soumahoro con le parole “un paradosso provocatorio” presuppone che di questo si tratti, e non di una proposta degna di rispetto.
Nel primo capoverso del suo commento Salvini, utilizzando le parole “La libertà di culto è uno dei principi fondanti della nostra nazione, ma questo non significa cancellare i nostri valori e la nostra identità”, maschera con toni e temi apparentemente concilianti un contenuto implicato molto grave e tendenzioso: che qualcuno abbia l’intenzione di cancellare i nostri valori e la nostra identità.
Quando parla di “mettere fine a caos e conflittualità negli istituti”, presuppone che vi siano effettivamente del caos e della conflittualità all’interno degli istituti, e che la loro causa siano proprio i giorni di vacanza durante feste non cristiane, per cui imponendo “uno stop alle celebrazioni non ufficiali” il caos e la conflittualità nelle scuole italiane cesserebbero.
Attraverso l’uso di un inciso, poi, “patrimonio collettivo degli italiani e filo che ci lega alle generazioni che ci hanno preceduto”, topicalizza, ovvero presenta come qualcosa di già presente all’attenzione del lettore, l’idea che le feste nazionali siano patrimonio collettivo degli italiani e siano un filo che le lega alle generazioni precedenti.
Infine, dicendo che “non ci devono essere arretramenti”, implica che consentire altre feste nazionali significherebbe arretrare rispetto a quelle tradizionali. Ciò è naturalmente falso: nessuno sta proponendo di sostituire le vacanze di Pasqua con quelle per il Ramadan. Inoltre, ancora una volta, la scelta della parola “arretramenti” suggerisce uno scenario bellico, in cui si confrontano due schieramenti, e avvalora il messaggio (falso) che dare spazio alle culture immigrate significhi sottrarne a quella italiana.
La domanda finale risulta inevitabilmente retorica, dal momento che Salvini ha già espresso, seppur implicitamente, quale sia la posizione che si debba avere. In questo modo, il lettore non è invitato a commentare i fatti, ma una versione di questi costruita implicitamente da Salvini, come se ci trovassimo nel preludio di uno scontro di civiltà.