
Un saluto ai lettori OPPP!
Oggi diamo uno sguardo a com’era la pubblicità qualche anno fa. Questo cartellone stradale di Coca Cola è del 2013. Per diversi aspetti ci appare “vintage”: la grafica alla portata di una semplice stampante da tavolo, l’aspetto acqua e sapone e l’abbigliamento scelto dalla mamma del ragazzo testimonial, il tentativo di soddisfare le aspirazioni dei possibili giovani bevitori accennando in maniera vaga a un ruolo presidenziale.
Meno vintage, e sempre di ottima presa, è l’enfasi grafica sulla parola GRATIS, capace di indure il lettore ad associarla al prodotto, sottovalutando che questo non è affatto gratis, ma semmai lo è una sua parte minore (e lo è per finta, cioè solo rispetto a un prezzo stabilito arbitrariamente).
Quello che non è vintage per niente, ma anzi evergreen nelle pubblicità di ogni tipo, è il ricorso massiccio all’implicatura per contrabbandare una convinzione esagerata. In questo caso, che la Coca Cola sia niente di meno che la felicità. Asserire: “la Coca Cola è la felicità” farebbe accorgere anche i più distratti che questo non è affatto vero. Per trasmettere una vaga convinzione del genere, è assai più efficace farla implicare dal destinatario, scrivendo 250 ml di felicità in più; un bicchiere di felicità in più; oppure: stappa la felicità.
La cieca fiducia nell’efficacia dell’implicatura, che porta a ripeterla addirittura tre volte, quella sì, forse è un po’ vintage. Forse nel 2025 non funzionerebbe più. Il target di oggi, sempre più scafato, ci casca una volta, ci casca due volte, ma probabilmente alla terza comincia ad accorgersi del trucco.