Questa settimana abbiamo analizzato per voi un breve frammento della conferenza stampa con cui Luigi di Maio ha annunciato l’uscita dal Movimento 5 Stelle:
Da oggi inizia un nuovo percorso. Insieme a persone che hanno scelto di guardare al futuro. Oggi per costruire il futuro bisogna costruire soluzioni che si basino su idee concrete e realizzabili. Per ottenere un modello vincente che sia in grado di far progredire l’Italia da nord a sud, verso le sfide globali che ci attendono, abbiamo bisogno di aggregare le migliori capacità e i migliori talenti di questo paese, perché uno non vale l’altro.
Il testo contiene diversi impliciti: gli stessi contenuti, se fossero detti esplicitamente, lo metterebbero a rischio di critiche. Cominciamo l’analisi dalla vaghezza delle espressioni legate al futuro: “guardare al futuro”, “costruire il futuro” danno un senso di slancio, ma in effetti dicono poco di quel che si intende fare. Si tratta di dichiarazioni che davvero potrebbe fare chiunque in qualunque momento. In questo modo gli ascoltatori avranno più facilmente un’impressione positiva, perché ognuno è portato a riempire i contenuti vaghi con le proprie aspettative personali. Il riferimento al nuovo gruppo (“persone che hanno scelto di guardare al futuro”) attiva invece l’implicatura che quelli che non hanno seguito Di Maio guardino indietro. Solo i seguaci di Di Maio sono in grado di “costruire soluzioni che si basino su idee concrete e realizzabili” e di “ottenere un modello vincente che sia in grado di far progredire l’Italia da nord a sud”, mentre gli altri parlano a vanvera. Sempre per implicatura, il politico si loda (un atto che se compiuto in modo esplicito spesso non attira simpatie): dicendo “abbiamo bisogno di aggregare le migliori capacità e i migliori talenti di questo paese”, implica che tra questi talenti vi siano proprio lui e i suoi nuovi colleghi. Ognuno decida se la versione esplicita di questa implicatura sarebbe facilmente accettata come vera: “In questo paese io, Luigi Di Maio, rappresento in maniera eccellente la capacità e il talento”.
Infine, l’ultima frase è particolarmente significativa perché riprende lo slogan – manifesto del M5S, capovolgendone il significato: da “uno vale uno” a “uno non vale l’altro”. Come agiscono gli impliciti in questi slogan? “Uno vale uno” è una frase tautologica e, quindi, apparentemente, non significa nulla. Proprio la sua apparente mancanza di significato attiva un meccanismo fondamentale della comunicazione: la nozione inconscia che niente viene detto senza un motivo. Grazie a questo meccanismo, ogni frase apparentemente inutile viene collegata a un significato aggiuntivo, che è dunque il vero motivo per cui la frase è stata pronunciata. Dunque, qual è il significato dietro “uno vale uno”? Forse “non è giusto che i politici abbiano privilegi perché non sono migliori dei comuni cittadini”, ma anche “chiunque può essere ugualmente abile nella gestione della cosa pubblica”.
Ebbene, anche “uno non vale l’altro” ha un contenuto apparentemente sotto-informativo. In questo caso l’ascoltatore, anche grazie al resto del discorso, è portato a interpretare: “Il talento e le capacità non sono ugualmente distribuiti, ed è giusto che chi ne ha di più abbia un ruolo di leadership”. Ma i livelli di implicatura in questo caso sono molteplici. “Uno non vale l’altro” significa anche “Il vecchio M5S – quello che dice che uno vale uno – sbaglia” e anche “Di Maio è uno di quelli che valgono più degli altri”. Questi slogan, quindi, ricchi di diverse possibilità di interpretazione, derivanti dai contesti e dalle diverse aspettative degli elettori, sono perfetti per attrarre consensi, nonostante la mancanza di contenuti chiari ed espliciti (anzi, proprio grazie a questa mancanza).