Ci sono cose che non ci lasceremmo dire senza ribellarci. Ad esempio, se ci dicessero: “chi beve questo whisky è giovane, bello, ricco e felice!” non solo non ci crederemmo, ma il whisky in questione ci diventerebbe antipatico per sempre. Eppure è pieno di pubblicità che dicono esattamente questo. Ma implicitamente. Infatti, che altro dice un filmato in cui delle persone giovani, belle, ricche e felici bevono una dichiarata marca di whisky? E che cosa dice uno spot in cui una casalinga che potrebbe fare la modella di Intimissimi passa un determinato aspirapolvere in una casa piena di luce davanti a un marito che le sorride pieno di amore? Be’, se il messaggio è passato in maniera implicita, ce lo beviamo senza discutere. E in qualche misura, ci convince che le cose stanno così.

Insomma, immagini e musiche soavi o solenni ci convincono senza che ce ne accorgiamo. Ma come fanno i pubblicitari a convincerci quando la cosa da dire non si può esprimere con suoni e immagini, perché richiede proprio di essere formulata linguisticamente?

La formulano in modo IMPLICITO. Ad esempio, Philips ha investito molti soldi per diffondere questo annuncio:

Qui Philips presuppone, senza asserirlo, che noi stiamo vivendo con gli occhi chiusi. In sostanza, che siamo dei poveracci che vivono una vita dimezzata. Se dicesse esplicitamente: “Tu vivi con gli occhi chiusi”, lo troveremmo esagerato e offensivo. Così, invece, ce lo lasciamo dire. E ci lasciamo dire più o meno le stesse cose dai produttori di queste automobili, perché invece di asserirle le presuppongono:

 

Citroën insinua – come Philips – che viviamo con gli occhi chiusi, e Renault che non stiamo neanche vivendo, ma solo guardando la vita. Tutto questo ce lo lasciamo dire, e anzi è redditizio dircelo, perché è detto in maniera implicita. Come pure non è asserito esplicitamente che i nostri occhi si aprirebbero, o cominceremmo a vivere per davvero, comprando uno schermo Philips, una Citroën DS4 e una Renault Kadjar. Questo, ce lo lasciano implicare accostando in maniera quasi innocente la headline all’immagine del prodotto. Siamo noi a fare il collegamento, cioè il lavoro sporco: loro non dicono esplicitamente, ma suggeriscono in modo che noi lo concludiamo senza rendercene conto, che comprare quella roba ci salverà da una vita mediocre e infelice.

Nello stesso modo, Alfa Romeo ha costruito questa pubblicità su un padre e un figlio, in cui ciò che viene direttamente asserito non è la parte importante del messaggio:

Sono più importanti le informazioni implicite. Quelle non linguistiche, come l’aspetto del divano e la presenza di una pianta, che suggeriscono una casa elegante e spaziosa, quindi agiatezza; o la somiglianza fra le pettinature dei due, che fanno immaginare un figlio che segue le orme del padre. Ma anche le informazioni implicite linguistiche: il messaggio è congegnato in modo da usare l’espressione la mia prima Alfa, che presuppone una serie di Alfa successive. Se la pubblicità asserisse esplicitamente “chi compra un’Alfa poi ne compra delle altre”, il target si accorgerebbe che si tratta di un’affermazione senza fondamento. Ma in forma di presupposizione implicita, finiamo per convincercene abbastanza.

La pubblicità dell’Audi, diffusa trent’anni dopo, adoperando esattamente la stessa espressione conferma l’utilità di questa strategia.

Anche la propaganda politica fa spesso leva sulla forza persuasiva degli impliciti.