Signor presidente, onorevoli colleghi, non sarà una legge, neppure la migliore, a debellare la corruzione.

Chi si illude che questo possa avvenire sottovaluta il disfacimento che segna le istituzioni in questa fase storica.

Un disfacimento, uno smarrimento di senso e di missione di cui la corruzione è uno dei segni più evidenti, ma non l'unico.

La corruzione intesa come condotta contro il bene pubblico rinvia all'accezione più generale del termine, quella appunto di decomposizione, in questo caso dello Stato e delle sue articolazioni.

Combattere le radici della corruzione significa oggi, innanzitutto, costruire una nuova dimensione pubblica, contrastare le ideologie che hanno descritto lo Stato come una sorta di male necessario, anziché come la proiezione di una comunità, affrontare finalmente il tema delle modalità di selezione e formazione delle classi dirigenti, estirpare dalle strutture pubbliche i presidi degli interessi particolari, illeciti o criminali che siano.

In altre parole, costruire una nuova Repubblica che faccia i conti con la crisi degli Stati nazionali e con la fragilità del nostro in particolare.

E, tuttavia, questa considerazione non può esimerci dal cercare di fare buone leggi o almeno migliorare quelle esistenti.

Questo si è provato a fare, noi pensiamo riuscendoci.

Non annoierò l'Aula ripetendo un refrain giustamente utilizzato in queste settimane, per il quale il meglio è nemico del bene.

Diciamolo subito: resta molto da fare e molto si può fare prima delle urne.

È giusto dire però ciò che è stato fatto e come ciò che è stato fatto può cambiare l'approccio al fenomeno corruttivo.

Lo ha recentemente ricordato Gerardo D'Ambrosio, che qualcosa contro la corruzione in questo Paese ha fatto.

Ad oggi, sino a questa legge e a vent'anni da "tangentopoli", il legislatore si è preoccupato soprattutto di rallentare l'azione della magistratura, alla quale aveva nel contempo delegato il compito di contrastare il fenomeno.

Con questa legge si provano ad offrire nuovi strumenti a chi indaga, a rimuovere aree di impunità, a promuovere nuovi strumenti di prevenzione.

Oggi si può, anche simbolicamente, invertire una tendenza.

Il parere del CSM, quello approvato - quello approvato -, ha parlato di una legge da valutarsi positivamente per la determinazione con cui si intende dare spazio ad una riforma globale e sistematica dei reati contro la pubblica amministrazione e ha valutato con estremo favore il, il tentativo di prevenzione della nuova legge.

Ecco, qui sta il primo punto in positivo: un tentativo organico di affrontare la corruzione e le sue cause, non limitandosi alla repressione penale.

La legge lo fa fotografando ciò che oggi è la corruzione: il frutto di una complessa rete di relazione, di un intricato intreccio di favori e utilità che si sviluppa in strutture poco trasparenti, caratterizzate da contiguità e collusioni, dove cresce la commistione tra funzioni ed interessi pubblici e privati, tra controllati e controllori.

Non credo sia casuale se di questa parte della legge, quella che affronta la prevenzione, si sia parlato poco, troppo poco.

Da un lato, è poco affascinante per i media la ricerca di cattivi e forme di punizioni esemplari; dall'altro, scomoda quei settori della pubblica amministrazione e della magistratura che della commistione hanno fatto una seconda natura.

La norma sugli arbitrati io credo, ad esempio, valga da sola una legge.

Sulla base della fotografia di ciò che è oggi la corruzione questa legge introduce dei nuovi reati.

Non sono figure che escono dalla testa di Giove, sono illeciti - ora penali - previsti dalle Convenzioni che l'Italia ha liberamente sottoscritto quasi quindici anni fa, rimaste lettere, rimasti lettera morta sino ad oggi.

Il traffico di influenze illecite è lo strumento per incidere su quella fauna di faccendieri e pseudoconsulenti che ammorbano le istituzioni pubbliche, forzando, e talvolta guidando, l'azione di una politica troppo debole.

E credo sia importante il fatto che, per la prima volta nella storia del nostro ordinamento, sia riconosciuta la corruzione tra privati, un'intromissione inammissibile nella sfera privata, secondo alcuni colleghi del PdL, come se la trasparenza del mercato e il destino di importanti soggetti economici, spesso a proprietà diffusa, non fosse un bene da tutelare giuridicamente.

Certo si poteva fare di più, si dovrà fare di più, in, in alcuni casi si può ancora fare, evitando però delle estemporaneità possibilmente, perché non si capisce per quale motivo la normativa sul voto di scambio mafioso dovrebbe trovare sede in questo testo, essendo quella normativa sulla criminalità organizzata collocata altrove, e quella elettorale - ci si augura - alle porte.

Vorrei ricordare alla collega Lussana che il ministro Maroni si è giustamente vantato di un, di aver portato al voto del Parlamento un codice contro la mafia, ahimè scordando di introdurre il reato di autoriciclaggio.

Manca, invece, una normativa sulla reintroduzione del reato di falso in bilancio e questo è oggettivamente un vulnus.

Il PD ha rinunciato ai propri emendamenti che andavano in questa direzione, a fronte dell'impegno del ministro a sostenere l'approvazione della legge ad hoc proposta dall'IdV e attualmente in Commissione.

Il nostro voto di fiducia ha anche come presupposto questo impegno assunto dal ministro, così come io credo vi siano, in occasione delle prossime misure economiche, le condizioni per introdurre, appunto, il reato di autoriciclaggio.

Ci auguriamo che il governo non subisca ulteriormente le resistenze che sino a qui hanno impedito di cogliere questi obiettivi: quelle esplicite, che abbiamo misurato in quest'Aula, e quelle implicite, che abbiamo misurato attorno a quest'Aula.

Questa legge non è solo la ricerca di un difficile minimo, minimo comun denominatore tra chi, sino a pochi mesi fa, produceva leggi ad personam a getto continuo e chi si opponeva.

Essa è anche, grazie al cielo, il punto di equilibrio tra visioni diverse, persino alternative, in ordine al ruolo dello Stato, del mercato e della giurisdizione.

Si può fare di più, si potrà sicuramente fare di più in un Parlamento diverso da quello che ha votato sull'identità della "nipote di Mubarak", ma si potrà fare di più anche in una dialettica che sia frutto della competizione tra progetti alternativi di governo e di riforma della società.

Il modo in cui si leggono i fenomeni e gli strumenti per fronteggiarli, quelli criminali inclusi, non è mai - non può essere - neutro, né tanto meno meramente tecnico.

Lo si veda per la vicenda della riconfigurazione del reato di concussione, misurata secondo l'ottica di quanti imputati può agevolare.

Pochi, pochissimi, per fortuna, con l'eccezione dell'OCSE, hanno notato come la concussione, così come configurata in Italia, ha costituito un fattore di impunità per migliaia di corruttori che potevano dichiararsi, secondo necessità, concussi.

Alla base di questa polemica non c'è soltanto la legittima preoccupazione che qualche imputato eccellente possa farla franca, c'è una visione del fenomeno che quasi tende a giustificare la condotta del corruttore, che con un esiguo scarto può diventare concusso perché altrimenti non lavora, dimenticando che centinaia di migliaia di imprenditori hanno rinunciato a lavorare piuttosto che pagare una tangente, dimenticando che il corruttore tradisce non solo la comunità, ma anche i propri concorrenti che rispettano le regole.

Carlo Federico Grosso ha in più occasioni spiegato perché, sulla base dei principi di successione delle leggi penali, non verrà cancellata né un'imputazione né un processo.

E, tuttavia c'è da chiedersi se questo sia il metro migliore per valutare una norma.

Cioè, noi facciamo le leggi per punire più o meno duramente un imputato, come paradossalmente sostiene il noto riformatore della giustizia, Silvio Berlusconi, oppure per disincentivare alcune condotte?

Come si vede, anche su questo non ci può essere neutralità di giudizio.

Per questo, su tutte sorprende una critica mossa anche da fonti autorevolissime, cioè il rammarico per la mancata revisione dell'istituto della prescrizione nel suo insieme.

Per anni ci è stato consigliato, a noi del Partito Democratico, di non avventurarci sul terreno delle modifiche processual-penalistiche.

Chi lo ha soltanto ipotizzato si è esposto alla critica di essere, nella migliore delle ipotesi, un inconsapevole che si espone ai magheggi del nemico e, nella peggiore, un colluso.

Ed, oggi, dagli stessi, ci viene rimproverato di non aver affrontato il nodo non banale di quando far finire un processo.

Un terreno su cui si è giocata tutta la politica di, di aggressione alla giurisdizione della destra.

Secondo i medesimi osservatori, avremmo dovuto tentare il colpaccio nella Commissione che ha licenziato la legge contro le intercettazioni, perché quella è rimasta, nell'Aula che ha approvato l'emendamento alla comunitaria sulla responsabilità civile dei magistrati - dovrei ricordarlo - dopo la caduta del governo Berlusconi.

Il governo ora eserciti le deleghe, senza propaganda, ma anche senza timidezza, con l'equilibrio e la determinazione che il ministro Severino e il ministro Patroni Griffi hanno sino ad oggi dimostrato e che, e che ha consentito di fare di questa legge neppure la lontana parente di quella che il ministro Alfano aveva sottoposto alle Camere.

Con esse si può fare un passo avanti.

PRESIDENTE: La prego di concludere, onorevole Orlando.

Non casualmente le tre deleghe - concludo, presidente - le tre deleghe incidono su soggetti cruciali per il contrasto e per lo sviluppo della dinamica corruttiva: la politica, la burocrazia, la magistratura, con le norme su, si incompatibilità.

Non sottovaluterei quest'ultima, perché per la prima volta il governo dovrà stabilire le funzioni incompatibili con l'esercizio della giurisdizione.

Non è naturalmente questione che riguardi solo i magistrati, anche se è indubbio che tra questi c'è una particolare attenzione.

È questione che attiene alla separazione e all'indipendenza dei poteri.

Non affrontarla con nettezza significherebbe girare la testa dall'altra parte e rispettare relazioni poco salubri tra i poteri dello Stato; farlo in modo propagandistico, o peggio punitivo, equivale a rinunciare a distinguere caso da caso, funzione da funzione e alla fine compromettere il primo serio tentativo di sciogliere questo nodo.

Il presidente Monti, con una discutibile - mi si consenta - dichiarazione, ha sostenuto che i limiti della legge sono dovuti alle resistenze dei partiti.

Dal PD non ne sono venute.

Il PD ha chiesto che la lettura al Senato non modificasse il testo uscito da quest'Aula ed oggi il PD chiede al governo di utilizzare tutte le opportunità per rafforzare la lotta al malaffare pubblico e privato.

Falso in bilancio, autoriciclaggio, voto di scambio sono temi - lo, lo ripetiamo - che in forza di una risoluta iniziativa del governo possano essere affrontati dal Parlamento.

I corrotti non si limitano a violare le norme penali, vecchie o nuove che siano, i corrotti dilapidano il bene oggi più scarso: la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Per questo non sono nemici, sono nostri nemici qualunque colore assumano per chi, come noi, crede nel valore della democrazia, della partecipazione popolare.

Per questo chiediamo al governo di proseguire il, il lavoro.

Per questo noi assicuriamo che lo proseguiremo.